Apprendistato professionalizzante anche per disoccupati e lavoratori in mobilità: intervista a Eufranio Massi

 
 

Le agevolazioni economiche, contributive e fiscali del contratto di apprendistato professionalizzante sono estendibili anche a lavoratori over 29 beneficiari di un trattamento di disoccupazione. È l’art. 47, comma 4, del D. Lgs. n. 81/2015 a stabilirlo: ai fini della qualificazione o riqualificazione professionale è possibile assumere con contratto di apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione.

Questa deroga ai limiti di età del contratto di apprendistato professionalizzante (già presente, invero, nell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. 167/2011 per i lavoratori in mobilità) rappresenta un’importante opportunità per le aziende e per i lavoratori: alle prime consente di usufruire degli sgravi fiscali connessi all’apprendistato, ai secondi di poter beneficiare di un percorso formativo utile a rinnovare e ampliare le proprie competenze professionali.

Per comprendere meglio le opportunità e le specificità di questa particolare tipologia di contratto intervistiamo il Dott. Eufranio Massi. L’esperto di diritto del Lavoro e direttore del sito www.dottrinalavoro.it è autore di numerose pubblicazioni e ha curato il nostro ciclo di seminari sui temi del lavoro in Emilia-Romagna.

 

Dott. Massi, può spiegarci in cosa consiste la finalità di qualificazione o riqualificazione professionale che permette di estendere l’assunzione in apprendistato di lavoratori over 29 titolari di un trattamento di disoccupazione?

Il decreto legislativo n. 81/2015, a proposito dell’apprendistato professionalizzante, ha adoperato, in via generale (e, quindi, anche per i giovani fino a 29 anni) il termine di qualificazione e non di qualifica come era previsto nel decreto legislativo n. 167/2011. Per i c.d. “over 29” titolari di un trattamento di disoccupazione o iscritti nelle liste di mobilità (ormai pochissimi, in quanto le suddette liste sono state cancellate dal 1 gennaio 2017) è stata prevista la possibilità della “riqualificazione professionale”. 
Provo a spiegare, brevemente, i due concetti alla luce anche di precedenti orientamenti amministrativi espressi dal Ministero del Lavoro. Per qualificazione si intende una ulteriore esperienza lavorativa tesa a raggiungere un livello maggiore rispetto alla qualifica posseduta. A tal proposito, è significativo quanto affermato nel 2007 dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 8 (allora, l’art. 49 del decreto legislativo n. 276/2003, successivamente abrogato, parlava di qualificazione e non di qualifica).

Ebbene allora il Dicastero del Lavoro stabilì alcuni principi, che possono essere utilizzati anche oggi, secondo i quali un lavoratore in possesso di una qualifica con la quale ha lavorato anche con rapporti a termine o in somministrazione, può essere assunto con contratto di apprendistato professionalizzante se non ha superato, pur in sommatoria tra i contratti svolti, la metà del periodo formativo previsto dal CCNL (18 mesi, in via generale, che possono giungere fino a 30 nel settore artigiano). Ovviamente, il piano formativo individuale deve tendere ad una effettiva ulteriore qualificazione rispetto alla qualifica già posseduta. 

 

Cosa si intende invece con “riqualificazione professionale”?

Con l’espressione “riqualificazione professionale” si intende un percorso formativo da realizzare attraverso l’apprendistato professionalizzante che deve far ottenere al lavoratore una qualifica diversa da quella già posseduta. Anche in questo caso il piano formativo individuale, redatto secondo le modalità individuate dal CCNL, assume un aspetto centrale, atteso che al termine del percorso il lavoratore dovrà raggiungere la nuova qualifica.

 

Quali sono gli adempimenti necessari per verificare che sussistano le condizioni per l’assunzione e per documentare gli obiettivi formativi?

Innanzitutto, occorre verificare se il lavoratore sia titolare di un trattamento di disoccupazione (NASPI, DIS-COLL) o sia percettore di indennità di mobilità (ormai si tratta, come dicevo, pocanzi, di una ipotesi del tutto marginale). Per poter attivare l’apprendistato professionalizzante non è invece necessario che il lavoratore abbia già materialmente percepito la prima mensilità dell’indennità.
Per il resto, la strada da seguire è la stessa in uso per l’ipotesi del normale contratto di apprendistato professionalizzante, compresa la redazione, prima dell’assunzione, di un piano formativo individuale. Questo deve essere realizzato, anche in forma sintetica, secondo le indicazioni previste dalla contrattazione collettiva, come, chiaramente, indicato dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 5/2017

 

Per l’azienda che stipula il contratto, in cosa differisce l’assunzione di un apprendista beneficiario di NASPI o di altro trattamento di disoccupazione rispetto a un “classico” apprendistato professionalizzante per giovani tra i 18 e i 29 anni?

L’apprendistato professionalizzante dei titolari di trattamento di disoccupazione o dei percettori di indennità di mobilità si distingue, nella gestione del rapporto, dal contratto dei giovani soltanto per alcuni aspetti. Innanzitutto, dopo aver ricordato che nei loro confronti si applicano le tutele sui licenziamenti illegittimi previsti dal decreto legislativo n. 23/2015, il Legislatore ricorda che al termine del periodo formativo non è prevista la risoluzione del rapporto ex art. 2118 c.c., come è, invece, possibile per i giovani

Altra novità è rappresentata dal fatto che nei dodici mesi successivi al “consolidamento” del rapporto dopo la fine del periodo formativo relativamente al lavoratore titolare di disoccupazione, la contribuzione a carico del datore di lavoro è piena e non ridotta alla percentuale del 10%. Per il lavoratore percettore dell’indennità di mobilità il discorso è ancora diverso nel senso che la contribuzione datoriale pari al 10% sussiste soltanto per 18 mesi (come era prevista per le assunzioni a tempo indeterminato dei lavoratori in mobilità).

 

In sostanza, lei ritiene che questo tipo di apprendistato sia vantaggioso?

A mio avviso, il contratto di apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, per i percettori di un trattamento di disoccupazione può risultare vantaggioso per una serie di motivi. 

Innanzitutto, appare come una forma agevolata di reinserimento al lavoro per i soggetti espulsi dai processi produttivi (ed in questo caso, la tipologia potrebbe anche essere utilizzata per la ricollocazione dei lavoratori in CIGS di cui parla l’art. 24-bis del decreto legislativo n. 148/2015, introdotto con la legge n. 205/2017), ma anche per coloro che hanno perso un posto di lavoro a seguito di licenziamenti individuali, comunque motivati. 

Per il datore di lavoro che ha l’onere della formazione “on the job“ (ma la formazione esterna a carico delle Regioni, in alcune specifiche ipotesi, potrebbe non essere svolta come sottolineato nell’interpello n. 5/2017), esistono numerosi vantaggi. 
I primi sono di natura contributiva: si applicano le aliquote previste, in via generale, per i datori fino a 9 dipendenti e quelle per i datori con un organico superiore. 
Esistono poi vantaggi di natura economica, perché il lavoratore può essere retribuito fino a due livelli in meno rispetto a quello finale e, in ogni caso, secondo la eventuale riduzione prevista dalla contrattazione collettiva che potrebbe prevederla anche in percentuale “a salire” in correlazione con l’anzianità aziendale maturata progressivamente. 
Infine, i vantaggi normativi (non computabilità, per tutta la durata del periodo formativo, ai fini della applicazione di istituti previsti dalla legge, come nel caso del collocamento obbligatorio, o dalla contrattazione collettiva) e fiscali: ad esempio, la deducibilità dall’IRAP del costo del personale sostenuto per il lavoratore apprendista.

 

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