Anche la discriminazione è un rischio: intervista a Vivietta Bellagamba

 
 

Prevenire situazioni di violenza, abusi e discriminazione di genere nei luoghi di lavoro è un’azione basilare per garantire un ambiente di lavoro sano, privo di fattori psicosociali. Intervistiamo oggi la Dott.ssa Vivietta Bellagamba, segretario nazionale Firas-spp, che sarà presto nostra docente nel webinar dedicato al ruolo dell’RSPP nella valutazione di questa tipologia di rischi

 

L’otto marzo è una giornata supportata da una narrazione che ha come protagonista un fatto di cronaca, in realtà accaduto in un contesto leggermente diverso. È giusto sfatare il mito, o al contrario usare la sua potenza per portare avanti una battaglia non ancora conclusa?

 

Credo che la Giornata Internazionale della Donna sia ancora una ricorrenza per riflettere sui progressi compiuti verso l'uguaglianza di genere e riconoscere le sfide che le donne continuano ad affrontare a livello globale. È un momento necessario di condivisione per riflettere e promuovere cambiamenti positivi.

Mio nonno mi ha insegnato che citare e ricordare eventi passati sia fondamentale per prendere consapevolezza del presente e correggere il futuro. Sono convinta che ricordare in questa data, le forme di discriminazione e violenza contro le donne, le pratiche malsane come ad esempio le mutilazioni genitali, il riconoscimento del valore del lavoro domestico non retribuito, il matrimonio forzato o la negata promozione delle donne a tutti i livelli decisionali, vadano ricordati perché rimangono obiettivi ancora lontani. 

Considero pertanto l'8 marzo una ricorrenza per combattere la disuguaglianza di genere, che si manifesta attraverso molteplici forme di abuso, violenza o discriminazione, come il mancato diritto allo studio, la mancata indipendenza economica e la mal distribuzione delle responsabilità domestiche o genitoriali, giusto per citarne alcune. E che nei luoghi di lavoro può manifestarsi, ad esempio, con la disparità salariale, la mancanza di accesso ai ruoli di leadership.

 
 

Quando capitano episodi di violenza, si tende ancora a minimizzare l’evento dicendo che si “è trattato di un malinteso o di un incidente”. Riconoscere invece l’accaduto con il significato più grave di incidente, quello che si utilizza nella Sicurezza sul Lavoro, potrebbe contribuire ad aumentare la consapevolezza e sul tema?

 

Spesso tendiamo a ignorare la terminologia e non indagare il vero significato etimologico della parola. Mi piacerebbe vivere invece in una società in cui possiamo essere onesti e riconoscere che la violenza è una piaga sociale inaccettabile per una nazione democratica come la nostra.

Reputo che scegliere le parole appropriate dimostri rispetto e comprensione per le esperienze e l'identità delle persone; tuttavia, spesso evitiamo di utilizzare un linguaggio sincero e diretto perché abbiamo paura che sia percepito come aggressivo o insensibile. Dobbiamo invece avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, poiché contribuirebbe a responsabilizzare la società.

È essenziale essere consapevoli del linguaggio che utilizziamo, poiché può influenzare come le persone si sentono e come vengono percepite, rendendo chiaro il problema della violenza anche se in modo schietto. Questo discorso si applica tanto alle forme di abusi e violenze quanto alla sicurezza nei luoghi di lavoro. 

 
 

Qual è la resistenza maggiore alla diffusione della consapevolezza su questo tema? Il benaltrismo (es: “ci sono rischi più gravi di occuparsi”) o ancora un certo senso di maschilismo?

 

Entrambi i fattori possono contribuire all’avversione su questo tema. Sicuramente l’atteggiamento del benaltrismo, molto conosciuto ed utilizzato in politica, può portare alla negazione o alla mancata riconoscenza della gravità degli episodi di violenza. Il maschilismo, dal canto suo, non è da meno, in quanto riflette atteggiamenti culturali e sociali radicati che portano a banalizzare la violenza di genere.

Ma potrei citare altre forme di barriere culturali come l’ignoranza o la disinformazione che la fanno da padrone. In ogni caso, la conseguenza è che gran parte della popolazione non è realmente consapevole dell'entità del fenomeno e questo rende difficile affrontare efficacemente il problema.

Nella mia esperienza di docente riscontro una certa resistenza anche quando tengo lezioni nelle aziende. La direzione è spesso riluttante a introdurre queste tematiche tra lavoratori, nei processi formativi, preoccupata che concetti di abusi o discriminazione possano far emergere alla memoria episodi passati, provocando conseguenze legali, con il rischio di danneggiare l’immagine o la reputazione dell'azienda.

Ritengo che intervenire sull’educazione al fenomeno, magari sin dalla scuola dell’infanzia, sia una buona pratica per prevenire queste resistenze culturali, sensibilizzando il bambino di oggi che sarà il cittadino di domani.

 
 

In un ambito non arginabile con DPI, la formazione assume un ruolo fondamentale?

 

Esercito come formatrice da oltre 30 anni e questa lunga esperienza ha consolidato in me la convinzione che la formazione sia sempre cruciale, soprattutto in contesti dove i Dispositivi di Protezione Individuale non possono costituire una barriera sufficiente contro i rischi.

Una formazione adeguata riduce significativamente la probabilità di incidenti, poiché i lavoratori vengono preparati a riconoscere i potenziali pericoli. La formazione rappresenta il primo strumento essenziale per sviluppare competenze, consapevolezza e una solida cultura della sicurezza e della prevenzione.

 
 

Uno degli argomenti del corso è la Convenzione sulla violenza/molestie sul lavoro. Perché è importante conoscerla?

 

Ne parlo così tanto nei miei seminari perché considero la Convenzione ILO 190 del 2019 un vero pilastro nella prevenzione dei rischi di natura psicosociale.

Questo trattato promuove l'uguaglianza di genere e la non discriminazione nei luoghi di lavoro, definendo pratiche e comportamenti inaccettabili che possono causare danni fisici, psicologici, sessuali o economici. L'obiettivo di questo Trattato internazionale è creare un ambiente di lavoro sicuro, rispettoso e inclusivo, oltre a promuovere giustizia ed equità.

Questa convenzione estende la definizione di tali comportamenti a tutte le categorie di lavoratori, indipendentemente dal loro livello e dalla loro posizione gerarchica, con il desiderio di promuovere e garantire un lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per tutti i lavoratori.

Inoltre, ritengo che il principale merito della Convenzione ILO 190 sia stato l'inserimento di terminologie chiare e universalmente condivise, con riferimenti precisi ad azioni o vocaboli che aiutano a identificare ed inquadrare i singoli fenomeni.

Per la prima volta vengono riconosciuti persino eventi di natura informatica tra quelli considerati come comportamenti inaccettabili. Per raggiungere questo scopo, la convenzione ha previsto che ogni Stato dovesse diffondere linee guida, campagne pubbliche, codici etici e di condotta prevedendo misure di supporto per le vittime.

L’Italia in questo si è distinta, perché è stato il secondo paese in Europa e il nono al mondo a ratificare la Convenzione.

 
 

Un aspetto molto interessante del corso consiste nell’occuparsi, oltre delle vittime, dei testimoni della violenza. La cultura della sicurezza, come lei ha già detto in altre interviste, si crea in squadra. Quale deve essere dunque il comportamento dei testimoni di un episodio di abuso o violenza?

 

La cultura della prevenzione richiede uno sforzo di squadra costante. A volte può essere sfiancante, ma i benefici in termini di sicurezza e benessere sono enormi.

Riguardo agli episodi di abusi e violenze, i testimoni svolgono un ruolo cruciale perché ogni situazione è unica, quindi è importante usare il buon senso e valutare con consapevolezza. È normale per i testimoni sentirsi sconvolti o turbati dopo aver assistito a un episodio di abuso o violenza. Forse non esagero dicendo che anche loro possono essere considerati vittime indirette. Il trauma può avere un impatto emotivo significativo sui testimoni, portando a sentimenti di paura, impotenza, ansia o persino stress post-traumatico.

Ad ogni modo i testimoni devono essere in grado riconoscere e non minimizzare questi episodi. Qui, come dicevo prima, entra in gioco la formazione e la cultura condivisa: strumenti che il datore di lavoro deve utilizzare per responsabilizzarli a denunciare gli abusi seguendo le procedure aziendali. Solo così si evita che i testimoni diventino complici ignorando o giustificando l'accaduto o creando vittime a loro volta. 

 
 
 

Richiedi maggiori informazioni sul webinar con la Dott.sa Vivietta Bellagamba

 

La Dott.ssa Vivietta Bellagamba sarà docente del nostro webinar Molestie, Abusi e Stereotipi di genere: il ruolo dell'RSPP nella valutazione dei rischi in partenza nei prossimi mesi.

Il webinar è valido come aggiornamento RSPP/ASPP/Formatori.

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